venerdì 21 marzo 2008

La Strada (che fende il Deserto)

Lasciata Katherine alle spalle, l'umidità che ci ha accompagnati nell'ultimo mese non ne voleva sapere di dissiparsi. Distese interminabili di Eucalipto verde lucente si srotolavano di fronte a noi chilometro dopo chilometro. Un occhio attento poteva però annotare una lenta e costante decrescita degli alberi quasi a rivivere al contrario quel che avevamo provato percorrendo la strada verso Broome. Era come se la terra, a poco a poco, si stesse spogliando dei propri vestiti per ricongiungersi, nuda, al cielo. Ed è proprio il quel luogo, aspro e arcigno, che la terra e il cielo fanno l'amore. E noi, loro figli, ne siamo la prova.

Anche i termitai, dapprima goffi e tondeggianti, iniziavano a sfinarsi assumendo la forma di castelli medievali, raggiungendo la perfezione a Mataranka, dove si erge un vera e propria Reggia, talmente grande che avremmo potuto alloggiare per la notte. Ma il “prezzo da pagare” credo sarebbe stato un po' “salato”, quindi abbiamo deciso di proseguire.

Oltretutto attendevamo con ansia Renner Springs, la cosiddetta linea di demarcazione tra tropico e deserto. Cinquecento chilometri in tutto e tutto sarebbe cambiato. E approdati alla città della svolta, la svolta è avvenuta. Scesi dalla macchina per un frugale spuntino, uno strano movimento di correnti alternate ha iniziato a ruotarci attorno. Il volto, diretto a sud, iniziava a seccarsi tipo zolla di terra al sole. Una leggera brezza alzava impercettibili granelli di sabbia che non faticavano a poggiarsi sulla pelle ancora umida. La schiena, rivolta a nord, si lasciava crogiolare dalle gocce di vapore umidiccio che liquefacendosi si divertivano a gareggiare tra di loro percorrendo a velocità elevata la spina dorsale arrestandosi solo di fronte al primo vestito che incontravano sul loro cammino. Praticamente era come pisciarsi addosso mentre ti stanno facendo uno scrub. Considerando poi che nel tempo di un nanosecondo abbiamo subìto uno dei piu' cruenti attacchi moschiferi dalla nostra permanenza australe, possiamo ad oggi affermare con decisione di essere orgogliosi di essere ripartiti da Renner Spring dopo un paio di minuti.
Un paio di Interminabili Minuti.
Ripresa la carreggiata devo ammettere con gioia che l'umidità era scomparsa. E anche gli alberi.
Qualche cespuglio faceva ancora capolino sul ciglio della strada, ma eravamo decisamente entrati nella “zona calda”.
Dopo Karlu Karlu sulla destra un cartello citava:

ATTENZIONE UFO – Procedere con Cautela – Pista di atterraggio di fronte”

Ora, nel bel mezzo del nulla che quasi ti sembra di essere su Marte, ti trovi la pista di atterraggio per gli ufo te che faresti? Non gliela dai un'occhiatina?
Entrati nella stazione di servizio (l'unica nel raggio di 300 km) abbiamo assistito all'ilarità del luogo, che metteva in mostra riproduzioni ad altezza naturale degli Extraterrestri, una torre di controllo per gli atterraggi e un sacco di documentazione che accerta la reale presenza in passato (spero) dei nostri cari amici intergalattici.

Ma tanto passato non era, visto che abbiamo avuto, come testimonia la foto, un “incontro ravvicinato del terzo tipo”.
Alla fine possiamo rivelarvi che non siamo così differenti come crediamo. ; )

Altra nota colorata, l'ufficio postale: un bidone un tempo della spazzatura che con mirati interventi si è riscoperto come cassetta delle lettere e orgoglioso ci tiene ad avvisarti che:

Dissetato Sneaky, siamo ripartiti con la seria consapevolezza che gli Ufo esistono e che probabilmente sono i padroni della stazione di servizio, perchè per vivere lì devi proprio essere un alieno. Lodi a loro. E tante grazie per il servizio.

Lungo tutta la strada desertica, un vento tiepido e costante spirava durante il giorno, per poi trasformarsi in fresca brezza dopo il tramonto e in una sorta di corrente gelata prima dell'alba, talmente fredda che per un'ora si battevano i denti. Ma tutto sommato era quel che volevamo, una pausa dall'opprimente caldo tropicale. E questo costante soffiare teneva a bada le mosche di giorno e le zanzare di notte. Finalmente potevamo dire di avere Sneaky tutto per noi.
Di sera, non accendevamo nemmeno piu' la lampada tante erano le stelle, così brillante brillante era la luce riflessa della luna.
La sensazione era quella di volersi lasciar perdere in quella sterminata terra del Nulla, dove puoi respirare l'energia che emana perchè appunto è nuda, priva di alcuna “coperta”.
La strada però era tanta e gli amici a Melbourne ci attendevano, soprattutto Justin, pronto a dire “si per tutta la vita” ad Allison in una decina di giorni. E noi non potevamo mancare.
Sulla strada per Coober Pedy, abbiamo simbolicamente salutato Uluru (300 km nell'entroterra), sicuramente in maniera piu' fugace rispetto all'anno scorso, ma della stessa commossa intensità.
Lo scenario, ancora brullo, si dilettava nell'alternare immense distese di terra rossa con irti colli sovrastati da gigantesche aquile talmente corpulente che ad ali aperte risultavano essere piu' grandi dei canguri morti di cui si stavano cibando.
Perchè il deserto non è assenza di vita, bensì essenza di una vita che non ci appartiene.

Qualche centinaio di chilometri prima di Cooby le colline sono scomparse e solo allora abbiamo realizzato la loro estrema importanza, nate e collocate lì per tenere a bada le forti raffiche di vento che spazzano il deserto. La loro assenza in questo tratto determinava la creazione di violenti vortici di vento e sabbia che attraversavano la strada noncuranti dell'assenza di strisce pedonali. I cespugli erano quasi scomparsi, lasciando il passo a un vento sempre piu' ringhiante, che frustava Sneaky ed insinuandosi nei finestrini prendeva a pugni anche le nostre teste facendole ciondolare a destra e a sinistra. E cantava così forte la sua canzone che non c'era volume di radio che riusciva a tenergli testa. Altro non potevamo se non ascoltare la sua eterna storia.
Incrociando altri camion esso si insinuava tra di noi facendo barcollare Sneaky a tal punto da dover girare lo sterzo quasi mezzo giro, per poi doverlo riportare in posizione originale prima che fossero passati.
Posso affermare con certezza di aver guidato in costante derrapata per almeno 200 km e Sneaky, la prima notte a Cooby, mi ha confessato di essersi divertito un sacco nelle vesti, per una volta, di RallyVan.
Passata la città dei buchi, lo scenario è diventato ancora piu' impervio. La strada non era piu' pianeggiante: docili ma lunghissime salite ci proiettavano verso il cielo e scendendo i nostri occhi si perdevano in infiniti tavolieri, sempre rossi, sempre nudi, ma per la prima volta compresi nella loro totalità. Cinquecento chilometri di saliscendi, di nuovo in territorio Aborigeno. Questa la distanza che ci separava da Port Adelaide, la nostra porta d'accesso verso la
“civiltà”.

3 commenti:

Unknown ha detto...

io quel posto lo conosco mi ci portarono quando venni rapito dagli alieni.....forse ero fatto.
cico

Anonimo ha detto...

Che un bel post. Adoro leggere questi tipi o articoli. Posso? T aspettare di vedere ciò che altri hanno da dire.

Anonimo ha detto...

Questo articolo è stato estremamente interessante, soprattutto perché ero alla ricerca di pensieri su questo argomento Giovedi scorso..